Prefazione di Alessandro Quasimodo alla Raccolta NON SO RESTARE E NON SO
ANDARE VIA
Homo sum, humani nihil a me alienum puto
Publio Terenzio Afro, Heautontimorùmenos (165 a.C.)
Ogni volta che leggo una poesia dell’amico Vettorello mi nasce sulle labbra un sorriso: per chi come me lo conosce da tempo sembra quasi incredibile che un uomo così riservato, non chiuso ma introverso e decisamente parco nell’uso “pubblico” della parola, possa trasformarsi in estroverso interprete della dimensione umana.
E’ un Poeta che ha trovato la Strada: osserva, fotografa, a volte analizza il mondo che lo circonda poi scende nell’intimo seguendo -per così dire- l’idea agostiniana dell’ “In te ipsum redi”. Lo scopo? Cercare non la Virtù ma la Verità, l’essenza ultima del nostro comune essere. Si dimostra così capace di svolgere fino in fondo il suo compito di cantore direi “civile”, uomo tra gli uomini che si cimenta nella prova più alta: la ricerca delle radici (sue e della categoria che rappresenta) così da adempiere alla missione più significativa della Poesia , quella filosofica.
Nessuna ansia di protagonismo si trova in lui, nonostante la notorietà indubbia. Eppure Rodolfo Vettorello è protagonista indiscusso delle sue liriche, centro irradiante, soggetto attivo e passivo: vive in prima persona gli eventi che traduce in versi, oppure apre e chiude con perizia tecnica l’obiettivo che li riprende, o ancora muove i fili del ragionamento come navigato narratore … ed è sempre lì, palese o nascosto.
Un uomo schivo, dicevo, e penso alle tante manifestazioni in cui è stato chiamato a parlare, e al suo gesto rapido e quasi intimidito di consegna del microfono – come uno schermirsi dalla dimensione pubblica. Anche il Premio da lui istituito (Premio Internazionale di Arti Letterarie THESAURUS) gli assomiglia: inizialmente a carattere itinerante, oggi ha la sua sede in Albarella, un’isoletta a sud della laguna veneta dove la natura è tutelata nelle sue varie dimensioni ed espressioni, l’accesso è riservato a pochi, tranquillità e privacy sono le parole d’ordine per poter godere del luogo.
“Non puoi vincere sempre tu”, mi è capitato di dirgli recentemente: oramai non si contano i riconoscimenti che Vettorello ha ricevuto, dopo aver partecipato a diversi Premi letterari ha raggiunto una discreta fama e un ottimo successo di critica e di pubblico; ai miei occhi, alle mie orecchie la sua cifra stilistica è oramai talmente definita e riconoscibile nella sua originalità che…devo confessare mi assale il paradossale timore
di saperlo identificare pur nell’anonimato richiesto per la partecipazione agli agoni letterari!
Un uomo semplice, serafico, quasi francescano nelle sue abitudini e nel suo modo pacato di relazionarsi.
Eppure il suo modo di osservare fatti, eventi, persone (nel quotidiano, nella cronaca, nella dimensione onirica) si traduce in immagini poetiche che rivelano una mente inquieta, un animo in costante bilico tra dubbi e certezze. Si percepisce come l’autore sia un uomo che ha vissuto la vita “succhiandone il midollo”, arrivando a comprenderne il senso grazie ad una spiccata sensibilità; è una poesia matura la sua, lontana dall’ingenuità giovanile e dagli autoinganni. Non è facile guardare direttamente, senza schermi protettivi, la realtà ed accettare i limiti delle possibilità umane nella comprensione del motivo ultimo che regge gli schemi dell’universo. Ci vuole la dinamica dell’inquietudine intesa come condizione esistenziale per poter sfrondare la realtà dai suoi orpelli ingannevoli e arrivare al nocciolo, al cuore, al centro di tutto. Quando il dubbio, la paura ti assalgono, troverai rifugio e risposte dentro te; se le risposte non ti sembreranno convincenti potrai sempre puntare all’Assoluto con la certezza che l’irraggiungibilità non è limite ma segno dell’ infinito. L’essenza del nodo irrisolto è tutta nella prima lirica: “Non c’è coerenza in ciò che ci riguarda,/così, se sono fermo a un crocevia,/non so restare e non so andare via.”. Eppure lo sappiamo: tutto è in continuo movimento, l’essere è divenire – ci spiegano i filosofi antichi - e anche noi uomini siamo soggetti all’eterno mutamento (di sostanza, di pensiero, di condizione). Accettare questo significa riconoscersi docile fibra dell’universo e riappacificarsi con l’esistenza.
Homo sum, humani nihil a me alienum puto
Publio Terenzio Afro, Heautontimorùmenos (165 a.C.)
Ogni volta che leggo una poesia dell’amico Vettorello mi nasce sulle labbra un sorriso: per chi come me lo conosce da tempo sembra quasi incredibile che un uomo così riservato, non chiuso ma introverso e decisamente parco nell’uso “pubblico” della parola, possa trasformarsi in estroverso interprete della dimensione umana.
E’ un Poeta che ha trovato la Strada: osserva, fotografa, a volte analizza il mondo che lo circonda poi scende nell’intimo seguendo -per così dire- l’idea agostiniana dell’ “In te ipsum redi”. Lo scopo? Cercare non la Virtù ma la Verità, l’essenza ultima del nostro comune essere. Si dimostra così capace di svolgere fino in fondo il suo compito di cantore direi “civile”, uomo tra gli uomini che si cimenta nella prova più alta: la ricerca delle radici (sue e della categoria che rappresenta) così da adempiere alla missione più significativa della Poesia , quella filosofica.
Nessuna ansia di protagonismo si trova in lui, nonostante la notorietà indubbia. Eppure Rodolfo Vettorello è protagonista indiscusso delle sue liriche, centro irradiante, soggetto attivo e passivo: vive in prima persona gli eventi che traduce in versi, oppure apre e chiude con perizia tecnica l’obiettivo che li riprende, o ancora muove i fili del ragionamento come navigato narratore … ed è sempre lì, palese o nascosto.
Un uomo schivo, dicevo, e penso alle tante manifestazioni in cui è stato chiamato a parlare, e al suo gesto rapido e quasi intimidito di consegna del microfono – come uno schermirsi dalla dimensione pubblica. Anche il Premio da lui istituito (Premio Internazionale di Arti Letterarie THESAURUS) gli assomiglia: inizialmente a carattere itinerante, oggi ha la sua sede in Albarella, un’isoletta a sud della laguna veneta dove la natura è tutelata nelle sue varie dimensioni ed espressioni, l’accesso è riservato a pochi, tranquillità e privacy sono le parole d’ordine per poter godere del luogo.
“Non puoi vincere sempre tu”, mi è capitato di dirgli recentemente: oramai non si contano i riconoscimenti che Vettorello ha ricevuto, dopo aver partecipato a diversi Premi letterari ha raggiunto una discreta fama e un ottimo successo di critica e di pubblico; ai miei occhi, alle mie orecchie la sua cifra stilistica è oramai talmente definita e riconoscibile nella sua originalità che…devo confessare mi assale il paradossale timore
di saperlo identificare pur nell’anonimato richiesto per la partecipazione agli agoni letterari!
Un uomo semplice, serafico, quasi francescano nelle sue abitudini e nel suo modo pacato di relazionarsi.
Eppure il suo modo di osservare fatti, eventi, persone (nel quotidiano, nella cronaca, nella dimensione onirica) si traduce in immagini poetiche che rivelano una mente inquieta, un animo in costante bilico tra dubbi e certezze. Si percepisce come l’autore sia un uomo che ha vissuto la vita “succhiandone il midollo”, arrivando a comprenderne il senso grazie ad una spiccata sensibilità; è una poesia matura la sua, lontana dall’ingenuità giovanile e dagli autoinganni. Non è facile guardare direttamente, senza schermi protettivi, la realtà ed accettare i limiti delle possibilità umane nella comprensione del motivo ultimo che regge gli schemi dell’universo. Ci vuole la dinamica dell’inquietudine intesa come condizione esistenziale per poter sfrondare la realtà dai suoi orpelli ingannevoli e arrivare al nocciolo, al cuore, al centro di tutto. Quando il dubbio, la paura ti assalgono, troverai rifugio e risposte dentro te; se le risposte non ti sembreranno convincenti potrai sempre puntare all’Assoluto con la certezza che l’irraggiungibilità non è limite ma segno dell’ infinito. L’essenza del nodo irrisolto è tutta nella prima lirica: “Non c’è coerenza in ciò che ci riguarda,/così, se sono fermo a un crocevia,/non so restare e non so andare via.”. Eppure lo sappiamo: tutto è in continuo movimento, l’essere è divenire – ci spiegano i filosofi antichi - e anche noi uomini siamo soggetti all’eterno mutamento (di sostanza, di pensiero, di condizione). Accettare questo significa riconoscersi docile fibra dell’universo e riappacificarsi con l’esistenza.