Una stellata notte allor consoli
Nostra tremante quiete, quale questa Che s’apre dolce e silente Su te, lucciola morente Attilio Bertolucci Fra cielo e terra stanno le lucciole, sospese. Per il tempo breve di una notte estiva, danzano, inseguite dai sogni dei bambini, che del tempo non hanno misura, non hanno conoscenza. Non hanno paura. Con l’udito fino di chi conosce la potenza eternante della parola scritta, Rodolfo Vettorello ha saputo ascoltare la voce dei ricordi, trasportandoci nell’età dell’oro dell’infanzia, componendo uno spartito musicale tra i più affascinanti, dove la stagione delle lucciole, suona vivissima. Con uno stile asciutto, vibrante, aguzzo, senza ombra di retorica, senza inutili compiacenze verbali, qualche volta malinconicamente attratto da effusioni e contemplazioni lievissime. Arte solare e magica, testimonianza di un amore per le cose piccole, care a Pascoli ( Arbusta iuvant humilesque myricae ) e a Soffici: arte festiva, solatia io la direi, così De Robertis. Preziosissimo è anche il contributo dell’autore nel descrivere- e consegnarci-,insieme alle vicende personali, le condizioni di vita, le usanze e i riti della campagna veneta, intrecciando i fili di storie diverse, riproposte, in piena aderenza fattuale, in un tessuto narrativo delicato e vario, onnipervaso da un costante respiro lirico. Con il profondo impegno e con il dedicato rispetto per la memoria, individuale e corale, che mai deve perdersi. Ecco quindi, una galleria di personaggi memorabili: la “nona vecia”, la bisnonna, così vivamente tratteggiata, vecchissima ai nostro occhi, vestiva di nero come tutte le donne della sua età e portava un fazzoletto scuro a coprire i capelli…nelle grandi tasche “scoinze e barbagii”, mele seccate e arachidi e qualche caramella quasi ciucciata; Amabile, la cui assoluta, impensabile miseria, non intaccava la sua felicità di vivere; e gli animali, la gatta Moci, le galline, la mucca Maura e il grosso cane Cico, improbabile incrocio di almeno dodici razze, creduto “Cico” fino a quando, dopo una lunga assenza…rientrò festoso accompagnato da quattro cuccioli. Ritratti rapidi e indimenticabili, costruiti con rara perizia restitutiva e trasferiti di getto nel torrente di una scrittura memoriale limpidissima, rafforzata dal ricorso a termini dalla chiara connotazione locale e dal sontuoso sfondo naturale. Su tutti, sulla grande casa delle Gravazze dove tutto sembrava sempre immobile, fuori dal tempo, sul “caselo”, il caseificio di Dussan, su un mondo che non ha altri orizzonti che le valli conosciute, la montagna cara, il Piave, i boschi, Gildo, l’amico perfetto, esempio e miraggio, il mito della mia infanzia, l’immagine dietro allo specchio della mia vita stessa. E proprio a Gildo, lupo solitario per nascita e per scelta, sono dedicate le pagine più intense e più struggenti e più drammatiche dell’intero romanzo. E la vita del compagno di giochi, così inconsapevolmente interpretante i più puri valori ossianici, maestro di tiro con la fionda e impareggiabile compagno di bravate, uomo che non ha paura a portarsi a casa Malvina, moglie di un altro e collettivo sogno proibito, che non indietreggia nel difenderne l’onore, assurge a vertice, a punta massima della vicenda e narrativa e umana. Proprio a lui, lucciola morente il cui ricordo mai si spegne, alla sua incontaminata innocenza e alla sua forza morale, possiamo ancora aggrapparci- questo pare essere l’invito- per ritrovare quiete in una stellata notte …che s’apre dolce e silente. Mentre l’estate scolora e muore. In breve brillio, Marina Pratici Critico Letterario, Giornalista, Poetessa e Scrittrice, Operatrice Culturale |